Ricreare la Georgia in Puglia
Intervista alla scenografa Eleonora DevitoFrancesco
di Eleonora Franco
Se c’è qualcosa che ogni spettatore si chiede mentre guarda un film, è come sia possibile ricreare un luogo distante nel mondo in un contesto diverso. Abbiamo intervistato Eleonora Devitofrancesco, la scenografa dietro la magia di “Dakota”, film americano del 2022. Ecco il resoconto della sua avventura nella creazione di un’autentica Georgia nel cuore della Puglia.
Eleonora Devitofrancesco
Come sei stata contattata per fare da scenografa per Dakota?
Ero appena arrivata a Roma per fare dei colloqui per un film, quando mi ha chiamata Ivan D’Ambrosio per conto della Iervolino & Lady Bacardi Entertainment S.p.A., dicendomi che c’era un film americano bellissimo che rischiava di non farsi più perché non si trovava la chiave giusta per la scenografia. Mi ha mandato subito la sceneggiatura per email e sono saltata sul treno per rientrare di corsa a Bari.
foto di backstage
Come è stato il tuo rapporto con la produzione e con la location manager*?
Avevano previsto solo tre settimane di riprese per girare tutto il film e quando i tempi sono così stretti, con scene complesse in interno ed esterno, il goal è racchiudere tutte le location* in una per evitare gli spostamenti.
Mi sono messa in macchina con l’assistente di Luigia Marino, la location manager, e abbiamo iniziato il giro delle proposte per trovare un campo da cui partire per costruire la fattoria, ma nessuna delle tre location mi ha convinta. L’ultima era a Spinazzola, la più lontana, che nessuno credeva potesse andar bene. Ho scelto proprio quella.
Era molto particolare: si trattava di una vecchia scuola rurale con un altro stabile a fianco.
Siamo entrati da un ingresso laterale e l’abitazione era suddivisa in stanze da 5m x 5m. Uscendo dall’abitacolo mi sono inoltrata in un sentierino, ho alzato lo sguardo ed ho avuto la visione: “è questa” dissi all’assistente.
Mi capita così, o mi viene mentre leggo, oppure direttamente nel luogo.
Ho intuito immediatamente che avremmo dovuto alzare e sistemare il tetto del capanno per renderlo come un tipico granaio americano, che avremmo dovuto aprire una nuova porta nella casa e creare una tettoia dal nulla.
La cosa divertente è stata che si trattava di una location* che l’assistente non avrebbe dovuto farmi vedere, perché era proprio sulla strada provinciale e bloccare una strada provinciale sarebbe stato un grosso problema, ma non avevamo altro. Per fortuna con la professionalità il problema è stato gestito, e siamo riusciti a girare in quella casa che grazie al lavoro di tutti si è rivelata perfetta.
la costruzione della casa della famiglia protagonista
la casa della famiglia protagonista completata
Quali indicazioni hai ricevuto dal regista?
Due giorni dopo la ricerca delle location* avrei avuto la presentazione in inglese del moodboard* in videocall con i produttori e il regista.
Ho chiamato mio marito, che fa il costruttore edile, e mi sono consultata con lui sulla fattibilità della mia idea. Quindi ho lavorato tutta la notte, studiato i termini in inglese, fatto dei bozzetti e ho fatto realizzare dei disegni tecnici al volo, cucendo un po’ il tutto.
Alla call c’eravamo io, Kirk, il regista americano, e i produttori.
Non hanno parlato per due ore, sono stati completamente in silenzio mentre io spiegavo il progetto. Poi, ad un certo punto, mi sono fermata.
Silenzio.
E Kirk dice: “It’s a miracle!”.
E io lì mi sono rilassata, si poteva fare.
Questo è stato l’approccio con il regista. Ho condiviso molto più tempo con Danielle Maloni, produttrice, che ha supervisionato tutto il lavoro.
il progetto esecutivo di Francesco Medico
Come hai scelto i componenti del tuo reparto? Sono gli stessi da sempre o cambiano a ogni progetto?
Essendo un film che ho accettato all’ultimo, ho dovuto fare grandi acrobazie: nel reparto scenografia eravamo in quattro più due stagiste.
La mia assistente storica non era disponibile, ma dopo varie chiamate sono arrivata a Pierluigi Bosna che è stato all’altezza del lavoro. Anche Fiorenza Amato, l’arredatrice, ha lavorato per la prima volta con una nuova assistente.
Poi abbiamo avuto due stagiste: Alessandra Riccardi e Daniela Paparella con le quali lavoro ancora oggi e che hanno accumulato molta esperienza. Sono state un po’ sfortunate perché hanno lavorato durante tutta la preparazione con noi e poi, arrivato il momento delle riprese, è scattato il blocco del lock down per il covid e, in quanto stagiste, non potevano venire sul set.
Ci è dispiaciuto un sacco, ma la cosa comunque carina, è che ci coordinavano da casa: sono sempre state collegate in videochiamata con noi.
Quanto tempo c’è voluto per la preparazione?
Fondamentale per la progettazione della scenografia è stato il piano delle inquadrature*: in questo film c’era un cane e molte inquadrature erano alla sua altezza. Per cui tanti dettagli che di solito tralasciamo quando prepariamo i film, per esempio il pavimento, dovevano essere curati al meglio.
Abbiamo avuto tre settimane di preparazione, di cui una per imbastire il film e due effettive a Spinazzola per le costruzioni, realizzate dall’Apulia Sceno Service che è un laboratorio della Pharos Film Company.
La cosa bella è che, finito il film, non abbiamo smontato nulla della scenografia. Hanno deciso di lasciare tutta la fattoria così come l’avevamo creata, e ora ci vive una famiglia e vi è nata una bellissima bambina!
negozi cittadini scenografati
Quali sono le sfide principali che hai affrontato nel trasportare l’atmosfera della Georgia in Puglia?
La base di tutto è la documentazione.
Bisogna documentarsi su tutto perché, altrimenti, non si riesce a fare un buon lavoro. Per tre giorni ho fatto dei veri e propri viaggi con Google Maps: vagavo per le vie della Georgia, osservavo i vicoli, le case.
Un’altra cosa che mi ha aiutata molto è stato il real estate: le case in vendita, che ti fanno fare dei tour virtuali a 360°. In questo modo ho potuto studiare tutti i dettagli, i colori, la laccatura, la boiserie*, la zoccolatura di una determinata altezza, le scale, il porticato. Quando la troupe americana è entrata nella casa per la prima volta, si é commossa. Mi hanno chiesto come avessi fatto, come fossi riuscita a riprodurre le stesse case con gli stessi colori delle loro famiglie in Georgia.
Come hai ricreato la cittadina della Georgia?
Inizialmente pensavo che l’avrebbero girata in Georgia.
Quando mi hanno detto che non sarebbe stato così, siamo partiti di nuovo con la ricerca delle location. Non si trovava quella adatta, perché si sarebbe dovuto ricostruire interamente il villaggio e non avevamo molto budget. Avevamo stanziato quasi tutto per la fattoria. Poi, all’improvviso, ho avuto la visione di realizzarla all’outlet di Molfetta, dove c’era una zona chiusa al pubblico, del tutto libera e quindi già utilizzabile. Ho chiamato Luigia Marino che aveva avuto la mia stessa intuizione: l’outlet era stata la sua prima scelta, ma le avevano detto che non avrei mai accettato. Invece era perfetta. Abbiamo comunque dovuto lavorare strenuamente, perché il piano di inquadrature prevedeva campi larghi: bisognava trovare un modo per scenografare il tutto, o quasi.
Ad altezza d’uomo c’erano una serie di vetrine rettangolari spoglie: dovevamo allestire nei locali vuoti negozi, ristoranti, gelaterie. Inoltre, trattandosi di ambienti molto ampi, posizionai delle finte pareti nei negozi per rimpicciolire gli spazi visibili.
Quindi dovevo solo lavorare principalmente sulle facciate.
Doveva essere tutto in stile georgiano, che richiama un po’ lo stile londinese: vetrine in legno con la boiserie, per cui ho dovuto inventare metodi semplici e di immediato impatto visivo facendo appello a tutta l’esperienza e fantasia, che fortunatamente non manca! In questo modo, ho risolto tutta la scenografia.
Poi c’è stato il lavoro dei costruttori che hanno ridipinto tutto il viale e le facciate fino a una certa altezza, quella dettata dalle inquadrature. Abbiamo selezionato con cura quali parti da pitturare, e quali no, per risparmiare il più possibile anche sulla vernice.
Per riempire le vetrine ho chiamato tutti i miei fornitori, con cui lavoro da anni, proponendogli di fare anche da attori per farsi un po’ di pubblicità. Hanno accettato tutti alla prima chiamata, il progetto li entusiasmava molto. Ho trasformato ogni loro professionalità (negozio di tessuti, ristoranti, vivai..) in attività “georgiane” americanizzandoli un pò, ed è stato per loro davvero divertente!
negozi cittadini scenografati
negozi cittadini scenografati
Dove avete ricostruito il villaggio americano, dimora del nonno?
Dovevamo riprodurre un villaggio tipico della Georgia. Quindi mi sono documentata: queste cittadine hanno tutte un centro con palazzi storici, circondato da giardini con casette dal tetto spiovente.
Abbiamo cercato quindi un residence di ville simili e lo abbiamo trovato a Cassano.
La cosa carina è stata che l’arredamento interno delle case di Cassano anni ‘70/’80 è identico a quello delle case della Georgia. C’era già tutto. Gli interventi negli interni sono stati nella cura dei dettagli: tende, finestre, veneziane e colore sulle pareti. Abbiamo aggiunto alcuni elementi d’arredo tipicamente americani come il divano, la televisione king size, il frigorifero gigante che fa il ghiaccio, la cucina grande con l’isola. All’esterno ho rivestito la pietra con una boiserie con assi in legno sovrapposte; anche qui il lavoro sui dettagli è stato importante per la veridicità dell’ambientazione: la bandiera americana, la cassetta della posta e la staccionata.
foto di backstage
Ci sono differenze culturali tra la Georgia e la Puglia che hai dovuto bilanciare durante il processo di creazione?
Noi raccontavamo la vita di una famiglia molto semplice, uno stereotipo americano: famiglie legate alla vita militare, piene di “senso patriottico americano”. Nella cura della scenografia abbiamo cercato di dare risalto a quello che esprimeva la sceneggiatura, sottolineando l’importanza della figura del padre, dell’americano che va in battaglia, dei marines, che sono parte della loro cultura e tutto ciò, andava espresso sia all’interno e sia all’esterno della casa.
La Georgia è uno stato dove tantissimi hanno figli che fanno i marines o che fanno parte dell’esercito, e nel film ho dovuto dare risalto a questi valori attraverso una ricerca di dettagli, di foto, di medaglie.
Entrare nel vivo di un’altra cultura, scoprire nuove cose, ricreare tutto da zero: sono queste le cose che più mi piacciono, che danno più il senso del “fare scenografia” e questo film mi ha dato la possibilità di farlo.