Giuseppe Gimmi, giovane regista emergente classe ‘97, ha condiviso con noi una prospettiva interessante sull’uso della psicologia nella creazione cinematografica. Per Gimmi, il processo di realizzazione di un film non è solo una questione tecnica o artistica, ma un’esplorazione profonda delle problematiche interiori dei personaggi e dei creatori stessi. “Il mio processo creativo parte da una problematica, da problemi miei interiori“, spiega Gimmi, evidenziando come le sue esperienze personali influenzino le storie che racconta.
L’inclusione di uno psicologo nel processo creativo è, per Gimmi, essenziale per analizzare e comprendere meglio le dinamiche tra i personaggi e il contesto in cui si muovono. “Grazie allo psicologo, riesco ad analizzare meglio […] È una sorta di critico che ti aiuta a capire meglio il significato di quello che vorresti realizzare“, afferma. Questo approccio non convenzionale mira a creare un cinema che non si limita a trovare soluzioni narrative, ma che stimola lo spettatore a porsi domande e a riflettere.
La psicologa Ilaria Gemino, coinvolta nel cortometraggio “Al di là dell’ombra” di Gimmi, analizza non solo i personaggi e le loro interazioni, ma anche gli spazi e l’ambiente di lavoro. Questo approccio aiuta a stabilire una connessione più profonda e coerente tra la visione del regista e l’interpretazione del team tecnico e artistico. Gimmi fa leggere la sceneggiatura a tutti i reparti, inclusi quelli apparentemente meno coinvolti come il catering, per garantire che tutti abbiano una comprensione comune della storia e delle sue sfumature.
L’utilizzo della psicologia si estende anche alle scelte stilistiche, come le inquadrature e l’uso delle luci, che variano in base all’umore del personaggio o alla situazione narrativa. “Analizziamo insieme la sceneggiatura e le inquadrature” dice Gimmi. “La psicologa chiede i significati e significanti di ogni cosa, e mi fa riflettere su ciò che può diventare evidente per lo spettatore.” Questo dialogo continuo permette al regista di valutare come le sue scelte possano influenzare la percezione del pubblico, spingendoli a cercare le loro verità attraverso il film.
Il cortometraggio “Al di là dell’ombra” rappresenta un esempio emblematico di come l’influenza della psicologia possa arricchire una narrazione. Originariamente concepito come la storia di un pastore, il progetto ha subito una trasformazione significativa: “Con la psicologa abbiamo riflettuto sui cinque sensi e abbiamo capito […] Che l’ombra fa parte di noi tutti […] e che una persona cieca non poteva vederla, ma sentirla”, riflette Gimmi. Il cambio di prospettiva ha portato a focalizzarsi sulla disabilità visiva, aprendo nuovi orizzonti nella rappresentazione dei sensi.
La figura dell’ipovedente, centrale nel cortometraggio, diventa un veicolo per esplorare temi più ampi. “È proprio l’ipovedente che trova la luce attraverso i suoni”, afferma il regista, indicando come la limitazione visiva possa aprire porte a percezioni alternative del mondo. Questa idea si concretizza nel cortometraggio, suddiviso in due atti distinti. Il primo atto è dominato dai suoni della natura, una “voce narrante” che accompagna lo spettatore in un viaggio attraverso un nuovo modo di percepire il mondo, staccato dalla mera vista. “Nel primo atto, il pastore cieco cammina tra i boschi e noi sentiamo i suoni della natura” descrive Gimmi, enfatizzando l’importanza del paesaggio sonoro nel costruire l’atmosfera del film.
La collaborazione con la psicologa ha permesso di esplorare le implicazioni emotive e simboliche dei suoni. Questo elemento è particolarmente evidente nel secondo atto, dove “Nei titoli di coda ci siamo noi […] che abbiamo la possibilità di vedere […] però alcune volte facciamo finta di non vedere”. Durante i titoli di coda, Gimmi utilizza i suoni della guerra come metafora della cecità scelta dalla società, che spesso ignora le realtà più scomode. Questo approccio non solo arricchisce la narrazione, ma invita il pubblico a riflettere sulle proprie percezioni e pregiudizi.